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"Los Angeles (state of mind)" in mostra a Napoli fino al 26 settembre

Dopo Le mille luci di New York nel 2017, London Shadow nel 2018 e Berlin 1989 nel 2019, con Los Angeles (State of Mind) prosegue la rassegna di Galllerie d'Italia delle esposizioni dedicate alle grandi città internazionali che, sul finire del ‘900, hanno cambiato la storia dell’arte.




In un coinvolgente percorso di 36 opere provenienti da gallerie e collezioni private italiane e internazionali e della collezione Luigi e Peppino Agrati - Intesa Sanpaolo, l’esposizione Los Angeles (State of Mind), realizzata con il patrocinio del Consolato Generale degli Stati Uniti a Napoli, è il racconto di una città attraverso diverse generazioni di artisti che si sono imposte a partire dagli anni Settanta per arrivare fino a oggi.


Se New York è il mondo, Los Angeles è certamente l’America, quell’America che cattura la nostra immaginazione per non lasciarla più. Una megalopoli nel deserto, un universo a sé che parla molte lingue e vive altrettante contraddizioni: un fertile insieme di idiomi e popoli, insomma. L’arte, a Los Angeles, descrive un mondo particolare, tra sperimentazione e pittura, performance estreme e contaminazione con le culture lowbrow alternative: la città ha sempre prodotto un’arte complessa, fungendo da polo d’attrazione per creativi provenienti da altri stati.




Alle ultime esperienze di pittura astratta con Sam Francis ecco coesistere la Pop Art di Ed Ruscha, diversa da quella newyorkese, più critica e meno assuefatta all’esaltazione dei media e dei consumi, per una figurazione che spesso rovescia gli stereotipi della cultura West Coast, a cominciare dalla celebre scritta “Hollywood”. I Settanta però sono anche il decennio dell’arte concettuale, della Body Art e dell’happening, nelle figure di John Baldessari e Paul McCarthy, performer spesso estremi, di Ed Kienholz e di Lynda Benglis, tra le esponenti di spicco del femminismo militante.


Raymond Pettibon, interprete degli incubi americani nei suoi disegni in nero che rappresentano gli eroi negativi della controcultura, Manuel Ocampo, trasferitosi dalle Filippine a Los Angeles e autore di una pittura barocca che riflette sulla commistione tra sacro e profano, Jeffrey Vallance, la cui indagine si fa sociale e antropologica, Jim Isermann, che stravolge i canoni del Minimalismo attraverso il mix con il design e la grafica digitale, fino a Eric White, rappresentante della nuova ondata pittorica conosciuta come Pop Surrealism o Low Brow. Emersi negli anni Novanta, Doug Aitken che si esprime attraverso videoinstallazioni e fotografie, la neominimalista Rita McBride e l’astrattista Ingrid Calame. La Los Angeles di oggi guarda soprattutto alla Black Culture, fenomeno che si manifesta in tutta la sua urgenza sociale e costituisce l’asse portante di rinnovamento critico della cultura americana. I disegni di Umar Rashid e l’intensa pittura di Henry Taylor testimoniano questo passaggio epocale, per un’America sempre diversa.




"Questa mostra fa parte del ciclo dedicato alle metropoli dell’arte contemporanea. Dopo New York, Londra, Berlino, ecco Los Angeles. Come negli altri appuntamenti, ancora una volta non risulta affatto casuale il rapporto tra queste città e Napoli, che rafforza la sua vocazione visionaria di centro d’arte internazionale. Musei, gallerie e collezionisti non hanno mancato l’appuntamento con l’area più complessa dell’America, trovandovi similitudini e assonanze culturali. Con lo spirito pionieristico che contraddistingue gli operatori culturali di Napoli, Lia Rumma rappresenta Gary Hill, precursore della videoarte, Alfonso Artiaco ha proposto la pittura di intensa atmosfera cinematografica di Glen Rubsamen e le sculture-installazioni di Rita McBride. L’opera di Allan McCollum, proveniente dalla collezione Trisorio, nasce direttamente dai siti archeologici di Pompei. Molto particolare il lavoro di James Brown, scomparso tragicamente nel febbraio 2020, che comprende un gruppo di settantasette disegni ispirati al libro Guida sacra della città di Napoli (1872), che l’artista regalò al suo gallerista Lucio Amelio negli anni ottanta. La sede italiana della londinese Thomas Dane Gallery propone un video di Lynda Benglis, le fotografie di Catherine Opie e la sua umanità alternativa delle comunità LGBTQ, la pittura acida e simbolica di Lari Pittman. La Galleria Fonti, infine, rappresenta

il pittore concettuale Eric Wesley e l’artista napoletano Piero Golia, che da oltre quindici anni ha scelto di vivere a Los Angeles". (Luca Beatrice)





Con lo spirito pionieristico che contraddistingue gli operatori culturali di Napoli, Lia Rumma rappresenta Gary Hill, precursore della videoarte, Alfonso Artiaco ha proposto la pittura di intensa atmosfera cinematografica di Glen Rubsamen e le sculture-installazioni di Rita McBride. L’opera di Allan McCollum, proveniente dalla collezione Trisorio, nasce direttamente dai siti archeologici di Pompei. Molto particolare il lavoro di James Brown, scomparso tragicamente nel febbraio 2020, che comprende un gruppo di settantasette disegni ispirati al libro Guida sacra della città di Napoli (1872), che l’artista regalò al suo gallerista Lucio Amelio negli anni ottanta. La sede italiana della londinese Thomas Dane Gallery propone un video di Lynda Benglis, le fotografie di Catherine Opie e la sua umanità alternativa delle comunità LGBTQ, la pittura acida e simbolica di Lari Pittman. La Galleria Fonti, infine, rappresenta il pittore concettuale Eric Wesley e l’artista napoletano Piero Golia, che da oltre quindici anni ha scelto di vivere a Los Angeles.




Il Catalogo è realizzato da Edizioni Gallerie d’Italia | Skira e contiene un saggio critico di Luca Beatrice.

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