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Venustas: in mostra la grazia e la bellezza dell’antica Pompei

Grazia, eleganza, fascino, ma anche gioia, in una sola parola: Venustas. La mostra che si terrà, fino al 31 luglio 2021, nella Palestra Grande del Parco Archeologico di Pompei, è un'immersione nei canoni e nei gusti estetici delle antiche popolazioni vesuviane


Fino al 31 luglio 2021 la Palestra Grande del Parco Archeologico di Pompei ospita la ricca esposizione Venustas, in cui protagonista indiscusso è l'antico universo femminile. La mostra è un’ampia finestra sulla routine di bellezza al femminile, sui rituali che accomunano donne di ogni epoca e che hanno come tramite oggetti di vezzo e di moda, raffinati e preziosi. Oggi come allora creme, trucchi, specchi per ammirarsi, ornamenti per abiti e gioielli, amuleti, statuette e oggetti preziosi dedicati agli dei concorrono a delineare un ideale di perfezione e bellezza.


Figura femminile alata (dalla Casa della Biblioteca, 40-20 a.C.). Ph. Chiara Teodonno

Vanity e Venustas: l’ideale della bellezza

La mostra si inserisce nel discorso avviato un anno fa nelle stesse sale espositive della Palestra Grande con la mostra Vanity: storie di gioielli dalle Cicladi a Pompei. Per la prima volta vennero aperti un confronto valido e un dialogo ragionato tra i gioielli del mondo greco e quelli della Campania, in particolare di Pompei. Oggi il titolo Venustas, termine che indicava per gli antichi la bellezza, l’eleganza, la grazia, il decoro ma anche la gioia, riassume in sé la pluralità dei temi toccati e indica come gli stessi gioielli siano analizzati da diversi punti di vista.

“La mostra Venustas è un itinerario che parte dalla sfera del sacro per far comprendere come i gioielli offerti alle divinità diventino strumento di definizione dell’offerente fino ai reperti d’uso comune per la cura del corpo, alle ricche parure di gioielli e agli amuleti, che rivelano pratiche mediche che sconfinano nei riti magici.” (Massimo Osanna, direttore generale dei Musei d'Italia e curatore della mostra)

Specchio con il volto di Medusa. Ph. Chiara Teodonno

Dalla Protostoria al 79 d. C.

La mostra parte dalle epoche e culture antiche dei secoli VIII/VII a. C. fino ad arrivare al 79 d. C., data della fatidica eruzione vesuviana. I reperti sono esposti all’interno delle strutture realizzate già un anno fa da Kois Associated Architects che giocano sul contrasto tra il materiale oscuro degli involucri espositivi (un richiamo alla materia vulcanica e un’evocazione della tragica eruzione) e lo splendore dei gioielli custoditi all’interno.

Il percorso si articola in 19 vetrine e inizia dai villaggi protostorici di Longola Poggiomarino. Qui sono esposti spilloni e spille in osso, bronzo e soprattutto in ambra il cui uso come materiale testimonia il valore degli oggetti quali amuleti contro la malasorte. Si prosegue con gli oggetti di cosmesi e ornamento provenienti nelle tombe femminili di Striano (VIII e VII sec a. C.). Con le fibule e le suppellettili delle necropoli di Stabia proseguiamo in età arcaica e classica (VI e V sec a. C.) fino ad arrivare al I sec d. C. La serie di leggi promulgata dall’imperatore Augusto nel 9 d. C. concesse una notevole libertà di gestione patrimoniale alle spose fedeli e fertili. Da questa data in poi, dunque, la donna romana diventa più attenta alla cura del proprio aspetto facendo ampiamente uso di cosmetici, oli profumati, gioielli e vesti preziose.


Venere che si slega un sandalo (da Oplontis I secolo a. C.). Ph. Chiara Teodonno

Contenitori per trucchi..

“...e se il viso non ha il colorito roseo naturale, lo si renda roseo ad arte. Con arte rinforzate l’orlo rado delle sopracciglia e disegnate un piccolo neo sulle candide guance. E non è disdicevole marcare gli occhi con un sottile carboncino o con il croco…”.

Sono solo alcuni dei consigli di make up che forniva Ovidio nel I secolo d. C. Il poeta ammoniva naturalmente di seguirli sempre con discrezione: il trucco c’è ma è meglio che non si veda, insomma.

In mostra si susseguono quindi numerose pissidi in bronzo, vetro, osso, argento, ma anche semplici conchiglie che contenevano una sorprendente pluralità di cosmetici. Si usava il fondotinta prodotto grazie ad una miscela di biacca, miele e sostanze grasse, mentre il fard veniva prodotto con pigmenti rossi (come le alghe fucus o con la feccia di vino). Gli ombretti erano ricavati da polveri di malachite o azzurrite, mentre per l’eye-liner veniva utilizzato il kohl, un cosmetico egiziano composto da solfuro di piombo, ossido di ferro e rame. Il rossetto era in tavolette contenenti cinabro e porpora, mentre su tutto il viso veniva sparsa polvere di ematite per illuminare la pelle. I trucchi venivano amalgamati e applicati sul viso grazie all’uso di spatoline e cucchiaini.


Gioielli in oro e metalli preziosi in mostra a Pompei. Ph. Chiara Teodonno

... e per profumi

La mostra espone piccoli e medi contenitori in vetro per unguenti e profumi. Autori antichi come Plinio il Vecchio e Petronio, attestano la larga diffusione di questo materiale, preferito nella realizzazione di vasellame potorio e recipienti per la conservazione di liquidi perchè ne impediva la volatilizzazione. I profumi erano largamente diffusi, risalenti all’Egitto faraonico, noto centro di produzione ed esportazione, a cui si affiancavano Napoli, Capua, Paestum e la stessa Pompei. Nell’antichità i profumi erano impiegati oltre che per uso cosmetico anche a scopo terapeutico. Solo la luxuria, criticata da molti autori antichi, era stata la causa dell’elevato costo di alcuni profumi. La forma di lusso più vana come osserva Plinio, poiché a differenza di altri preziosi, “il profumo si dissolve immediatamente e muore appena nato”.


La bellezza effimera e la bellezza dell’anima

La bellezza fisica, che come ricorda Ovidio è destinata a sparire, non è il solo tipo di bellezza indagata nella mostra Venustas. Al centro del percorso, nell’esedra dove si trova la seduta circolare rossa che richiama la bocca del Vesuvio, sono poste tre sculture. Si tratta delle statue delle muse Polymnia, musa della poesia sacra, ed Erato, musa della poesia amorosa dalla Casa di Loreio Tiburtino che ci ricordano la “bellezza della mente” e l’importanza di avere uno spirito saldo, che faccia da sostegno alla bellezza perchè solo “lo spirito intatto rimane fino alla morte”.

Al centro tra le due muse si trova la statua della Venere che si slaccia un sandalo prima di fare il bagno. La dea si poggia ad un sostegno di forma femminile e regge nella mano sinistra un pomo, evidente richiamo al premio ottenuto come vincitrice della mitica gara di bellezza tra le tre divinità giudicate da Paride.

Sempre nello stesso ambiente è esposto lo splendido affresco con figura alata femminile adorna di gioielli in oro e munita di ampie ali policrome proveniente dalla Casa della Biblioteca. Appartenente alla II fase del II stile, la creatura tiene tra le mani un festone di edera ornato da un nastro giallo a righe viola e sorregge al pari di una cariatide la mensola di un architrave all’interno di un portico.


Calco di donna in fuga dall’eruzione del 79 d. C. Ph. Chiara Teodonno

Gioielli in fuga

Ma Pompei ci offre la possibilità di ricostruire i rapporti intessuti tra gli antichi abitanti della città e gli oggetti preziosi in mostra. L’ultima tappa del percorso è infatti dedicata ai “gioielli in fuga“: anelli, orecchini, collane, bracciali e armille che i pompeiani cercarono di portare con sé nel tentativo disperato di sfuggire all’eruzione del 79 d. C. Oggetti che avrebbero potuto garantire una forma di ricchezza ma il cui legame con i proprietari è anche affettivo. A conclusione della mostra, il calco di una fanciulla rinvenuta nel 1875 lungo via Stabiana si fa “muta portavoce della fragilità della vita umana”.

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