"In Other Words", Jhumpa Lahiri e il nomadismo linguistico
- Cinzia Nitti
- 21 feb 2021
- Tempo di lettura: 2 min

Jhumpa Lahiri, scrittrice di origine bengalese nasce a Londra e trascorre la maggior parte della vita negli Stati Uniti, a New York. È membro del President's Committee on the Arts and Humanities, nominato dal Presidente Barack Obama e Premio Pulitzer per la narrativa nel 2000 con “Interpreter of Maladies”.
Affascinata dalla lingua italiana, decide di esplorarla, studiarla, conoscerla nelle sue infinite declinazioni, parlarla e renderla il mezzo attraverso il quale la sua arte letteraria si fa culla espressiva.
“[…] Credo che studiare l’italiano sia una fuga dal lungo scontro, nella mia vita, tra l’inglese e il bengalese.
Un rifiuto sia della madre sia della matrigna. Un percorso indipendente.”
L’identità di Jhumpa Lahiri si lega all’impresa di imparare una lingua che la porta a trasferirsi, insieme a figli e marito a Roma. Un vagare in prosa, in prima persona e in italiano (la versione in copertina In Other Words contiene la traduzione in inglese, volutamente affidata ad Ann Goldstein) per lasciare in un angolo colmo di radici il bengalese e spogliarsi dell’inglese, lingua adottiva e per molti aspetti adattativa.
Il viaggio dell’autrice nella lingua italiana è un percorso che prende forma con un timido, caparbio e intimo approccio prima, per fiorire potentemente poi, in una varietà lessicale e dialettica che manifestano il legame e l’amore profondo che uniscono la protagonista e l’intero processo di scoperta di un apparato linguistico tanto complesso e affascinante. La potenza espressiva del dizionario personale che Lahiri sfoggia nel suo racconto è l’esempio letterario dei mille modi di considerare una lingua “casa”. Imparare un'altra lingua per esprimere se stessa: un esperimento non fine a se stesso ma di trasformazione verso la piena auto-realizzazione.
Nella Giornata Internazionale della Lingua Madre indetta dall’UNESCO e un po’ controtendenza rispetto alla celebrazione delle provenienze linguistiche, In altre parole è la dimostrazione che sebbene le radici siano quanto di più profondo ci leghi al nostro essere al mondo e costituiscano gran parte dell’identità individuale e di una comunità, non esiste Lingua che non si possa considerare Madre.
Cinzia Nitti © Riproduzione riservata
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