Pensieri Pandemici: tra esasperazione mediatica, vuoto e speranze
- Cinzia Nitti
- 13 mar 2021
- Tempo di lettura: 4 min

Da poche ore si è compiuto il primo anniversario dalla dichiarazione dello stato di pandemia covid-19 dell’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Come se ci fosse qualcosa da celebrare. Ops! Scusate, forse intendevano porlo come monito e incentivo alla miglioria e all’invito a una maggiore responsabilità civica, senza omettere l’implementazione di piani vaccinali nelle aree del mondo in cui, ancora, sembra si navighi nel mare in tempesta. Su questo anno appena trascorso si è detto, scritto, letto di tutto – forse anche troppo, superando i limiti dell’informazione scientifica e sconfinando spesso in palese incompetenza e assunzioni prive credibilità. Tanto esasperate da risultare ridicole. Caos mediatico, sovrapposizioni teoriche, dichiarazioni e prese di posizione politiche a favore di questo o quel partito. Ricordate l’allora Presidente degli Stati Uniti Trump che scimmiottava il virus quasi a volerlo umiliare pubblicamente, con l’assurda intuizione che iniettarsi del gel sanificante in vena sarebbe stata la via maestra? E poi ancora tweet folli e arrangiati opinionisti di dubbia professionalità: (S)travolti da un gran numero di improvvisati paladini della divulgazione. Sapete cosa ci ho colto io nella smania comunicativa e asfissiante dei media? Il nulla. L’anestesia totale rispetto a quanto si voglia far credere oltre i numeri e le proiezioni vaccinali. Jean Baudrillard affermava “Come i sogni, le statistiche sono un modo di esaudire i desideri”: io direi che bastano quelle, le statistiche. In tutta la loro grave e rispettabile serietà, a coprire imbarazzi politici e totale mancanza di organizzazione e cooperazione tra Ministeri e rispettivi rappresentanti. Il resto è una pagliacciata destabilizzante, fatta di promesse irrealizzabili e false speranze che gravano sulle teste di milioni di persone come spade di Damocle.
Io la pandemia – come moltissimi giovani – l’ho vissuta e trascorsa nel suo momento peggiore, lontana dalla mia amata casa, dagli occhi azzurro cielo di mio nipote e da tutte quelle situazioni dalle quali, fino a pochi mesi prima, non vedevo l’ora di fuggire a gambe levate. Lontana dal mio paese del sud che tanto mi stava stretto. Lontana dall’Italia. Sola e catapultata in un posto che sì chiamavo casa da un po’, ma che era abituato ad ospitarmi solo per motivi di lavoro ogni tanto. Un anno fa ero intenta a raccogliere i frutti di anni di semina tra studio e sacrifici, un lavoro vero finalmente – il primo in cui qualcuno avesse mostrato apertura nei confronti delle mie brillanti competenze pur ricordandomi quanto sarebbe stato “diverso” dagli ambienti ovattati che mi avevano accolta in precedenza. Un lavoro circondata da persone gentili, le quali mi avevano accolta nella "trincea" insegnandomi molto seppure in poco tempo. Io ancora nutro e devo loro gratitudine per avermi protetta e confortata durante un capitolo di vita che da gioioso, si è trasformato in gabbia in un attimo. Un attimo: il tempo di dichiarare stati di emergenza, chiusura degli spazi aerei e lockdown nel mondo intero.

Avreste mai immaginato di conoscere il significato psicologico e fisico di vuoto tra quattro mura?
Molti ricordi e sensazioni personali non saranno leggibili tra queste righe. Ma oltre ogni banale osservazione comune, oggi, a un anno dalla dichiarazione dell’OMS traggo vantaggio dalla mia passione e professione scrittoria per condividere alcuni fermo-immagine che hanno contribuito allo sviluppo di una sensibilità e resilienza che non credevo fossero tanto determinanti nel mio Essere Me: le notti insonni di mia madre, che pur col fuso orario mi hanno tenuta viva e in preghiera. Instancabile, come lei e la sua grande forza. L’espressione sul volto di mio padre: impotente. So che se avesse potuto, avrebbe camminato e nuotato settimane intere pur di riportarmi a casa. Le videocall con le amiche romane e i libri letti a piccolissime dosi giornaliere perché “se questo lo finisco troppo presto, il corriere non garantisce consegna e le librerie qui son tutte chiuse”. Gli occhioni di Francesca smarriti e stanchi che mi hanno lacerato il cuore. E che dire poi di Celine, Giulia e Christian venuti al mondo durante la pandemia e che ancora non possono udire il cinguettio dei passerotti e i suoni della natura, perché qui si continua a cambiare tonalità di rosso in base al numero dei contagi?! Sono l'unica a sentirsi presa in giro? Sapete, nonostante il periodo continuo a dover viaggiare per lavoro e se dovessi elencare anche una minima parte delle assurdità cui i miei occhi hanno assistito negli aeroporti internazionali, non so chi sarebbe più passibile di denuncia. Se io in qualità di cittadina che agisce secondo regole e coscienza e non tollera l'ingiustizia, o i furboni che "evadono" a scapito di gente stanca e mentalmente inaridita dalla condizione di chiusura.
Dimenticavo … tra gli effetti devastanti delle vite in standby (non più forzato ma ormai stressato) ci sono insonnia, ansia, cibo di cui ci si abbuffa per noia, acquisti online compulsivi, dormire per non pensare, depressione, e intolleranza nei confronti anche dell’aria che si muove intorno a noi. Qualcuno ha mai parlato abbastanza del malessere pandemico? Il nostro è un “sistema assistenziale” solo sulla carta e che per quanto ossessivamente provi a includere il cittadino nelle dinamiche informative, fallisce miseramente nel concreto supporto empatico e psicologico. Sono fermamente convinta che la pandemia, al di là dell’oggettività dei dati, sia diventata una questione che siamo chiamati a gestire con noi stessi.

Non c’è Stato, virus o notizia che possano interferire con il modo individuale di affrontare un tale disastro umano. Il covid-19 ha imposto una pausa di riflessione tutt’altro che semplice ad ognuno di noi, e ad altrettanto svantaggio di milioni di vite: succede nell’angolo più confortevole della nostra stanza, o nel luogo fisico che non ci è permesso di raggiungere quando abbiamo bisogno di riconciliarci con noi stessi. Noi che forse questo disastro globale ha s-personalizzato o lasciato smarrire, fino a chiedersi “siamo sempre noi?”.
Io no, non sono più io. O forse sono un'altra me e devo accettarlo, forse anche ringraziando il Signor covid. Sento di essere cambiata ed entrata in contatto con sfumature più o meno belle della mia personalità, ma alla fine ho addolcito questa convinzione con un pensiero magico: vorrei poter tornare alle chiacchierate pomeridiane con mia Nonna, per qualche suggerimento sul fai-da-te. Sono sicura che i suoi metodi di sopravvivenza al profumo di focaccia appena sfornata sarebbero stati un toccasana per la generazione covid-19.
Cinzia Nitti © Riproduzione riservata
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