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Vita da Trans: tra abbandono, prostituzione e burocrazia lenta



Transessualità e prostituzione. Un binomio spesso considerato inscindibile, emblema di una società che non può o non vuole accettare chi considera "anormale", simbolo di una società che fa finta di non vedere, che "si fa i fatti suoi". L'Italia è uno dei paesi in cui la prostituzione transessuale è più diffusa: oggi, secondo una stima fatta da "Free Woman", in Italia le transessuali sono circa 40 mila e circa 10 mila vivono prostituendosi. Di queste, il 60% è di origine sudamericana, il 30% italiana e il 10% asiatica, mentre il relativo giro d'affari supera i 20 milioni di euro al mese.


Nella maggior parte dei casi le transessuali che si prostituiscono in Italia non sono vittima di sfruttamento; al contrario sono costrette a solcare il marciapiede non tanto per una scelta libera, consapevole e quindi non forzata, ma dalla difficoltà di trovare un qualunque lavoro dignitoso e "normale". Senza soldi non si mangia, non si vive, non ci si cura e la strada rappresenta l'unica, momentanea salvezza. Per molte di esse, dunque, la prostituzione è una dolorosa e sofferta necessità, alla luce del fatto che le persone trans non sempre sono supportate dalle famiglie.


Maya, prostituta trans, afferma: «la mia coinquilina ha il diploma di segretaria e io quello di parrucchiera, ma dove ci prendono? E soprattutto, chi offrirebbe lavoro a una ex prostituta trans? Non è facile trovare un lavoro "tradizionale" per noi e, Oltre alle difficoltà legate allo stile di vita di una prostituta, le transessuali devono fare i conti anche con la propria idendtità e cercare di diffonderla all'esterno, passando attraverso i pregiudizi e gli sfottò».


Come si fa ad uscire dal giro? C'è una tutela per chi trova il coraggio di fare una scelta di vita diversa e migliore? Per le prostitute ed ex prostitute trans non è semplice trovare il sostegno economico necessario e, soprattutto, quello morale; al di là di qualche piccola casa di accoglienza o di qualche onlus, non esiste ancora una vera e propria rete di sostegno e aiuto per loro.

«Il mio sogno», dice Alma, «non è di arricchirmi, ma di essere indipendente. Sogno di non avere più bisogno di andare in strada».


Camilla, Desirè e Giulia (nomi di fantasia), fanno parte del cosiddetto “popolo in transito” . No, non si tratta di donne che migrano da un continente all’altro in cerca di un lavoro o di una vita migliore.

Camilla, Desirè e Giulia sono alla ricerca di se stesse, del proprio io e della loro essenza primordiale perché non si riconoscono nel corpo che la natura “ha imposto” loro e nell’immagine che lo specchio rimanda loro giorno dopo giorno. Camilla, Desirè e Giulia sono trans, persone in transito.


La transessualità, è bene ricordarlo, è la condizione di quelle persone (sia donne, che uomini) la cui corporeità non corrisponde alla propria identità di genere. Tali soggetti, detti transessuali appunto, al fine di correggere “l’errore”, perseguono l'obiettivo di un cambiamento del proprio corpo, attraverso l’assunzione di ormoni ed interventi medico-chirurgici volti ad affermare l'identità fisico-psicologica che si assume più confacente al proprio io.


Bangkok, capitale della Thailandia, è diventata negli ultimi 20 anni la capitale mondiale del cambio del sesso. Cliniche efficienti, personale altamente qualificato e prezzi accessibili rappresentano la formula vincente messa a punto dalla capitale thailandese, che ha fatto di questo business una fiorente industria con un giro d’affari annuo di 3,5 miliardi di euro.


Secondo l’Osservatorio Nazionale sull’Identità di Genere (ONIG) «quando si parla di "scelta transessuale" ci si riferisce al momento in cui la persona decide di "manifestare" all'esterno ciò che in realtà vive dentro di sè da tempo: non attua una scelta nel senso intenzionale o volontario del termine, ma intraprende questa strada perchè nessun altra vita risulta sopportabile. Molte persone transessuali pensano che l'intervento chirurgico sia la soluzione del loro disagio esistenziale. In realtà l'intervento chirurgico non è sentito come "necessario" da tutti; inoltre risolve solo alcuni aspetti problematici della vita di chi dovrà confrontarsi permanentemente con la fatica di essere nato in un corpo che non corrisponde al proprio vissuto».


Il percorso per cambiare sesso

Una persona che intende cambiare sesso deve innanzitutto rivolgersi ad uno psichiatra che diagnostichi la "disforia di genere" e successivamente, in seguito a tale certificazione, può rivolgersi all'endocrinologo affinchè inizi una terapia ormonale sostitutiva. Successivamente, la persona transessuale può sottoporsi a trattamenti estetici-chirurgici (rimozione barba, mastoplastica additiva, femminilizzazione del viso). Completato il trattamento ormonale, secondo la legge 164/82, la persona transessuale può fare richiesta al Tribunale di potersi sottoporre agli altri interventi chirurgici di conversione sessuale (penectomia, orchiectomia e vaginoplastica per le trans; mastectomia, istero-annessiectomia, falloplastica o metoidioplastica per i trans). Una volta ottenuta sentenza positiva, la persona transessuale ha diritto all'intervento sui genitali a carico del SSN. In seguito all'intervento predetto, la persona transessuale deve nuovamente rivolgersi al Tribunale per chiedere il cambiamento di stato anagrafico. Ottenuta la sentenza, tutti i documenti d'identità vengono modificati per sesso e per nome.


La situazione nel “Bel Paese”

In Italia la “rettificazione del sesso” è disciplinata dalla legge 164 del 1982 ed è composta in totale da 7 articoli che si prestano a molteplici e diverse interpretazioni. In sostanza la suddetta legge stabilisce che la rettificazione del sesso si opera «in forza di una sentenza del tribunale passata in giudicato che attribuisca a una persona sesso diverso da quello enunciato nell’atto di nascita, a seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali». Quando è necessario (si legge all’articolo 2), il giudice dispone con ordinanza l’acquisizione di consulenza intesa ad accertare le condizioni psico-sessuali dell’interessato». Nel 2015, 33 anni dopo l’approvazione della legge 164, sono intervenute due sentenze sulla materia: in particolare quella della Corte Costituzionale ha stabilito che «la legge esclude la necessità, ai fini dell’accesso al percorso giudiziale di rettificazione anagrafica, del trattamento chirurgico, il quale costituisce solo una delle possibili tecniche per realizzare l’adeguamento dei caratteri sessuali». Prima di tale pronuncia le persone trans erano obbligate all’intervento chirurgico, con la nuova statuizione non è stato più necessario e obbligatorio il passaggio.


Non esiste un percorso di transizione univoco ed uguale per tutti/e.


La questione fondamentale è che non esiste un percorso di transizione univoco e uguale per tutti/e, poiché ogni persona trans ha esigenze diverse e specifiche: c’è chi sceglie di non assumere ormoni o chi non vuole accedere a un percorso medico. Il percorso medicalizzato, ad esempio, può prevedere vari interventi chirurgici, una consulenza psichiatrica/psicologica, test di vita reale e finanche terapie ormonali sostitutive. Il percorso giuridico invece può prevedere la rettifica anagrafica e/o l’autorizzazione agli interventi demolitivi, mentre il percorso psicologico 4-6 mesi di terapia e altri 8-12 mesi di test di vita reale, al fine di valutare la capacità di vivere nella società con il genere che si è scelto.

In termini di costi, una perizia psicologica ed endocrinologica ha un costo abbastanza alto («circa 500 euro l’una»), così come le sedute dallo psicologo e le terapie ormonali. Quello del cambio sesso è senza dubbio un percorso personale lungo, irto di ostacoli e, nella maggior parte dei casi, spietato e doloroso.

Un percorso fatto di ostacoli, non solo interpersonali, ma soprattutto burocratici che di certo non aiutano le persone che decidono, dopo anni di sofferenze e dubbi, di cambiare radicalmente la propria fisicità.


Francesca Iervolino © Riproduzione vietata

(Articolo apparso per la prima volta su WordNews.it )


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